Isabella Santacroce: vietato ai minori – destinato ai minori
Lungo il filo di una prevedibile cosmologia dantesca rovesciata, in V.M. 18 (Fazi Editore, Roma, 2007), Isabella Santacroce ci racconta la storia della voluttuosa Desdemona (sic) che, entrata in collegio, si dedica, assieme alle sue nuove viziose amichette (sic-sic!), a quello che la Santacroce vorrebbe che fosse un efferato erotismo di tipo sadiano orientato a quella sacralità estatica, erotica e decadente in cui la bestemmia e la preghiera coincidono. Lo scopo, ahimè, non viene assolutamente raggiunto. La narrazione, banale e scontata, si svolge senza turbamenti, senza soprassalti, totalmente priva di ogni autentica dimensione letteraria. Non vi è delizia erotica tra le parole, i periodi scorrono come cantilene, suonano lagnosi e non possiedono alcun intreccio narrativo. Terribile, tra l'altro, l'uso smodato delle maiuscole e il ripetersi incessante, borioso e manieristico del precedere dell'aggettivo rispetto al sostantivo.
La poetica delle Spietate Ninfette che strumentalizzano i poveri maschi coglioni per i loro piaceri non riesce nemmeno ad essere una parodia della femme fatale. Non seduce, non ammalia, non spaventa e, cosa estremamente grave per un romanzo erotico, non eccita. Ciò che rimane è solo un finto eccesso condotto alla norma, alla maniera e quindi alla noia. L'erotismo che ne risulta è appiccicaticcio, caramelloso, kitsch. Più che un romanzo è un elenco del telefono di cliché trasgressivi. Un elenco terminologico di eccessi che, suonando meramente come una pessima imitazione dell'immoralismo sadiano, finisce per essere privo dell'eccesso stesso. Si tratta in fondo di una dettagliata lista della spesa di beceri romanticismi estetizzanti e di comunissime poetiche del sublime da fase puberale.
Spericolata e senza paura, la Santacroce si addentra perfino in questioni antropologiche, filosofiche e teologiche e, oltre ad ottenere un buco nell'acqua dal punto di vista argomentativo, non è nemmeno d'effetto dal punto di vista poetico. Il testo manca di lacerazione, di valida dimensione tragica (nonostante l'ostentato e pacchiano uso di nomi propri tratti dalla letteratura classica) e, soprattutto, manca di stile e spirito compositivo. L'esito del giochino concettuale applicato alle coppie di opposti (satanico dio – celestiale demonio; maligni miracoli – benigni baccanali; purissima scostumatezza – deformata lucidità) è adolescenziale, privo di potenza blasfema. I ribaltamenti erotico-religiosi che vorrebbero essere batailleani risultano essere distanti anni luce e dalle cupe atmosfere di un surrealismo nero e dal linguaggio lacerato che lo caratterizza. Il male, tanto sbandierato come supremo obiettivo dell'efferato erotismo, non si sente, non si percepisce e non provoca reali ferite. Non vi è traccia di dolore o di crudeltà, né sul piano formale né sul piano squisitamente narrativo.
V.M. 18 è un romanzo noioso ed annoiato, il perfetto ritratto di una daddy's girl che, nel suo Blog, ci parla del suo ovvio immaginario da porno-bambolina. É scritto in un linguaggio estremamente pomposo e forzato. Non possiede e non convince, in nessuna riga. Mediocre letteratura, mediocre eccitamento: il kit perfetto per mediocri lettori. Un'altra bella iniziativa commerciale, con tanto di Blog, fotine sexy-maso e tanto manierismo estetista che ultimamente va tanto di moda e che piace tanto alle lolitine neo-gotiche. Un'itaGLiana mala-scopiazzatura della freddezza sadiana. Nulla di nuovo (il quale, se ben scritto, si potrebbe anche perdonare) ma soprattutto nulla di autentico, nulla di interessante. E questo, alla scrittura, soprattutto quando pretende potenza drammatica, non si perdona. Mai.
A cospetto di tutto questo, la seconda di copertina (il tragico consiglio per gli acquisti) recita:
«Isabella Santacroce partorisce pagine senza alcuna pietà e censura e proietta il romanzo in una dimensione mitica e nel solido impianto di una tragedia classica, creando un inedito decadentismo sadico-anarchico-libertino-estetizzante».
Comico.