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Scritto da nel Letteratura e Filosofia, Numero 15 - 16 Aprile 2007 | 0 commenti

Una piccola confessione

La pratica della confessione, così come noi la conosciamo, è pratica assai tarda rispetto alla storia della cristianità. Il primo confessionale risale, infatti, al 1516 e di qualche decennio posteriore è la nascita della pastorale: letteratura, di stampo manualistico, dedicata all'insegnamento della tecnica di governo delle anime[1].

Strumento di immane valore, la pratica della confessione qual è codificata durante il XVI secolo, diviene strumento di indagine, di interrogazione, e ovviamente di controllo, dapprima delle anime e successivamente anche dei corpi di milioni di fedeli della Chiesa cattolica.

Il cristiano primitivo non conosceva tanto la confessione quanto la penitenza, intesa come uno statuto volontario e per lo più definitivo. Conseguentemente ad un peccato grave, o a svariate ragioni, l'antico cristiano sceglieva deliberatamente di prendere lo statuto di penitente. Richiesta l'autorizzazione vescovile, si allestiva una cerimonia pubblica che sanciva l'allontanamento del penitente dalla Chiesa Cattolica e dai suoi sacramenti. Lo statuto di penitente, che poteva durare anche tutta la vita, implicava fra le altre cose: l'imposizione di rigorosi digiuni, l'astinenza sessuale, lo sprezzamento della cura del corpo e l'obbligo di portare il cilicio (strumento che non disdegnano anche alcuni fanatici contemporanei). Di fatto dunque, in questa cerimonia la confessione pubblica delle proprie colpe non era contemplata.

A partire dal VI secolo, si è aggiunta al suddetto sistema, la cosiddetta “penitenza tariffata”. Di origine irlandese, ispirata alla penalità germanica, tale penitenza inizia invece a prevedere una sorta di obbligo confessionale. Ogni qualvolta si commetteva un peccato, lo si doveva confessare ad un prete, il quale possedeva un vero e proprio “tariffario” nel quale ad ogni colpa corrispondeva una penitenza, la cui soddisfazione permetteva la remissione del peccato; niente di più simile dunque alla penalità laica, dove ad ogni delitto corrisponde un castigo.

Inoltre a partire dal IX secolo era pratica comune, è lo sarà fino all' XI, persino la confessione laica; ovvero per liberarsi dalla colpa di un piccolo peccato lo si poteva semplicemente “confessare” ad un amico disposto ad alleviarne la pena attraverso un paziente ascolto.

Dunque il rituale della penitenza pubblica, la confessione laica, così come la penitenza tariffata, prevedevano un ruolo del chierico al quanto debole, ma come si sa per la Chiesa Cattolica si è sempre rivelato piuttosto difficile accettare una qualsivoglia subordinazione nella vita dei propri fedeli. Ciò farà sì che a partire dalla seconda metà del Medioevo, sino al Concilio di Trento e alla nascita della pastorale precedentemente citata, inizierà un lungo e macchinoso reinserimento della pratica della confessione all'interno dei quadri ecclesiastici, che condurrà via via ad un sempre maggiore potere di controllo sulla vita del popolo cristiano.

Nasce così per i fedeli l'obbligo della confessione. Obbligo di regolarità (almeno una volta l'anno e non più solo quando si commette un peccato), obbligo di continuità (si devono confessare tutti i peccati commessi a partire dalla confessione predente), obbligo di esaustività (si deve confessare tutto, sì, proprio tutto). Nascono contemporaneamente i manuali per i buoni confessori, che devono essere capaci di indagare, scrutare nel profondo, e capire azioni e intenzioni per curare anime e corpi di miriadi di peccatori.

La penitenza e la confessione, che ad essa è legata, si trasformeranno in strumenti di grande potere; poiché se l'una presto sarà legata alla pratica di vendita delle indulgenze che costituirà uno dei tanti motivi della nascita dei movimenti di riforma, l'altra inevitabilmente diverrà strumento di controllo e conseguentemente di repressione, in primis di repressione sessuale (ma questo è un altro discorso che meriterebbe trattazione a sé).

Si potrebbe riflettere a lungo su quali assurdi e subdoli meccanismi siano stati innescati dal semplice bisogno, per altro piuttosto naturale nell'uomo, di raccontare quei piccoli, innocenti peccati (sempre che peccati si possano chiamare) della vita quotidiana… ma d'altronde fu così che da povero gregge di pecorelle smarrite ci trasformarono in un popolo di lussuriosi peccatori.


[1] Più precisamente la pastorale della confessione è stabilita durante la XIV sessione del concilio di Trento (25 Novembre 1551), i cui atti sono pubblicati in Canoneses et decreta concilii tridentini, Lipsia, 1853.

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