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Scritto da nel Economia e Politica, Numero 13 - 16 Marzo 2007 | 0 commenti

Ennio e Clint

Con successi come “Il buono, il brutto, il cattivo” (1966), “Per qualche dollaro in più” (1965) e molti altri, Ennio Morricone e Clint Eastwood sono entrati di diritto a far parte del firmamento delle stelle hollywoodiane. La recente cronaca cinematografica oltre che ad unire i due nella cerimonia tenutasi a Hollywood (dove l'attore ha premiato il Maestro con un Oscar alla carriera) ha enfatizzato ancora un volta la distanza di noi italiani dall'uso della lingua inglese (che è in larga misura la lingua straniera che più gli italiani affermano di conoscere)[1]. Ad onor del vero, sempre la stessa occasione ha anche sottolineato un certo qualunquismo made in U.S.A. – nella fattispecie un Clint Istwood in tuxedo pronunciare in maniera errata il nome del Maestro – all'atto di chiamarlo sul palco per ritirare il prezioso riconoscimento, ma questa è un'altra storia…
Ormai sorpassata la dicotomia scolastica appartenente alla generazione dei nostri genitori – francese o inglese – e riposta nel dimenticatoio anche la terza delle famose “tre i” (i come inglese, N.d.R.) del Governo Berlusconi (qualcuno l'ha vista?), andiamo avanti tra premier che parlano un inglese maccheronico agli incontri internazionali, imprenditori che si lasciano scappare strafalcioni e presentatori che si fanno tradurre le domande e le risposte dell'ennesimo ospite internazionale. Non parliamo del playboy medio in vacanza nei villaggi turistici (<>) alle prese con signorine english fluent.
A tutte queste cose siamo abituati e non serve neanche mettere il naso fuori dai nostri confini per accorgersi delle nostre lacune linguistiche, non ci stupiamo quindi se il grande Morricone, dopo aver lavorato decenni con Hollywood, abbia detto due parole in italiano (al quale, ovviamente, passiamo questo ed altro!). Ma il punto non è, ovviamente, il Maestro.
Secondo un'indagine del Censis pubblicata nel 2006, il 66,2% degli italiani afferma di conoscere almeno una lingua straniera, e tra questo gruppo il 50% valuta il proprio livello come “scolastico”, il che, come tutti sappiamo, significa sostanzialmente non saper parlare la lingua che dichiara di conoscere. Mettiamo da parte la differenza tra il concetto di “conoscenza di una lingua” e quello di “capacità di utilizzare” tale lingua e stendiamo un velo (pietoso) sulla differenza geografica del concetto di scolastico, che suppongo abbia ben altra valenza (al rialzo, ovviamente) in paesi nordici come Svezia e Danimarca (giusto per fare due esempi).
Soffermiamoci quindi sulla situazione del nostro paese considerato che, come scrive Carlo Longo nella sua rubrica del Corriere, la situazione rispetto a trent'anni fa è parecchio migliorata. Se per lui è normale o sufficiente che <<[...] Fra i parlamentari sotto i cinquant'anni vi sono persone che hanno viaggiato, hanno studiato all'estero e hanno qualche rudimento d'inglese. [...]>> allora non ci stupiamo neanche che il 52,9% della popolazione non ha intenzione di imparare una lingua straniera (e il 25,2% probabilmente non lo farà). Insomma appare abbastanza ovvio dire che “siamo messi malino”.
Perché noi italiani siamo così restii ad imparare una lingua relativamente facile come l'inglese? Dal basso dell'esperienza di chi scrive, all'alba dei 26 anni, si possono avanzare due ragioni chiave.
La prima e più ovvia, si trova nelle scuole, ed è quel modo assolutamente sbagliato di insegnare le lingue a partire dalle elementari fino alle superiori. La seconda, altrettanto chiara ma di importanza capitale, ci accompagna anche prima di sederci davanti alla lavagna, ed è la tanto criticata televisione.
Senza un metodo efficace a scuola e senza film in inglese non ci sono speranze di imparare a dialogare in maniera decente. Per tutti quelli che non possono permettersi di viaggiare ed imparare la lingua sul campo, ovvero all'estero, le strade sono poco praticabili. Aldilà del relativismo che si ottiene riflettendo sulla nostra specifica situazione personale e cercando di dare un ampio respiro alla questione, si può solo notare che il gap di chi conosce la lingua versus chi non la parla o capisce, deriva principalmente da due motivi: il primo è alla capacità e bravura degli insegnanti che si incontrano nel proprio percorso scolastico, mentre il secondo è legato alle capacità lungimiranti di genitori e figli, grazie alle quali è possibile (ma spesso non lo è) viaggiare in paesi anglofili, guardare film in inglese ed iscriversi a scuole dove si tengono lezioni esclusivamente con insegnanti madre lingua.
Della prima causa si può dire che il sistema scolastico italiano, senza entrare più di tanto nel merito delle varie riforme che si sono succedute negli anni, è quantomeno inadeguato e inefficace. Nelle scuola italiane, se si è fortunati s'incontrano insegnanti disponibili al dialogo, alla visione di molti film in lingua originale, alla lettura dei testi originali, al listening e alla conversazione con soggetti madrelingua. Metodi, questi ultimi, in grado di attirare l'attenzione spesso ballerina degli adolescenti. Se si è sfortunati, s'incappa in soggetti che si limitano alla mera valutazione della conoscenza di semplici regole grammaticali, permettendo agli alunni di ottenere alti voti senza nemmeno saper pronunciare frasi chiave per una banale conversazione sul tempo a Londra. Oppure se si è particolarmente sfortunati si è obbligati a seguire percorsi formativi dove si trascura l'orale per dedicar tempo alla letteratura anglofila, andando ancora a ridurre il tempo dedicato alla conversazione, al listening e alla comprensione orale[2]. Impariamo Joyce e Shakespeare poi, quando andiamo ad un meeting con un fornitore cinese, cosa facciamo, recitiamo l'Ulysses? L'inglese scolastico non e' sicuramente un inglese pragmatico.
Della seconda si può dire ben poco. Rocky Balboa parla come Cliff Robinson che parla come Scarface che parla come Rain Man che parla come il Taxi Driver. Come si può sperare che i ragazzi imparino in fretta l'inglese e lo parlino come i propri coetanei più bravi, senza fargli vedere film, telegiornali o cartoni animati in lingua originale? Tra l'altro sarebbe un esercizio molto utile per poter permettere in fase più adulta di dedicare più tempo alla letteratura straniera, con risultati sicuramente migliori dal punto di vista della comprensione e della velocità di apprendimento.
Con buona approssimazione le capacità linguistiche dei giovani italiani sono dovute al caso o alle possibilità economiche dei genitori. Questa non è un gran bella prospettiva. Al Maestro Morricone non serve sapere l'inglese, la sua lingua infatti è molto più forte ed universale, e al mitico Clint forse non importa e non serve più come si pronuncia correttamente il nome di colui che ha scritto le colonne sonore dei film da lui interpretati. Il problema è nostro, che non siamo nè Morricone né Eastwood e che dobbiamo esser in grado di duellare con la concorrenza che parla inglese molto meglio di noi. Ce la caveremo anche nel mondo del lavoro con le qualità di tuttofare sempre pronti ad arrangiarsi in qualsiasi situazione? Sarà sufficiente barattare un pacco di spaghetti con i picchetti del vicino di tenda (ovviamente) tedesco?!?
A voi, e ai vostri figli (…), l'ardua sentenza.


[1] Secondo il Censis la lingua straniera più conosciuta dagli italiani è proprio l'inglese (53,5%), seguito dal francese (37,1%), dal tedesco (4%) e dallo spagnolo fanalino di coda (2,8%).

[2] Ci sarebbe da chiedersi come si fa a comprendere la sfumatura di significato che può assumere un testo poetico se non si capisce il telegiornale…

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