11 marzo 1977
Era una mattina piovosa quella del 11 marzo 1977. La Bologna universitaria stropicciava gli occhi sotto un cielo terso. L'odore acre delle strade bagnate, l'umidità pungente che ti penetra nelle ossa. Tutto così familiare da essere quasi rassicurante.
Ci si doveva vedere alle dieci in Piazza Verdi, come al solito. Come al solito qualche sigaretta, poche parole, alcune battute, una risata. Quella mattina non si sarebbe andati a lezione. Non c'era tempo. All'istituto di Anatomia in Via Irnerio si sarebbe tenuta l'Assemblea di Cl. Bisognava andare a sentire. Un'assemblea è pur sempre un luogo pubblico, nessuno può impedirti di ascoltare. Chiunque tu sia, a qualunque movimento tu appartenga. Forse.
Circa 400 persone appartenenti al fronte di Comunione e Librazione sono già in aula. Cinque ragazzi, cinque “compagni”, studenti della Facoltà di Medicina, si presentano all'entrata.
Cosa credono di dimostrare, cosa pensano di ottenere? Fra i movimenti politici non c'è spazio per il dialogo, non è tempo di democrazia, è tempo di lotta. Quei cinque sono intrusi, spie, nemici da combattere e come tali sono malmenati e gettati fuori dall'aula.
La notizia corre veloce. Da Via Irnerio lungo i vicoli fino a Via Zamboni. Altri compagni allora, una trentina, si dirigono alla facoltà di anatomia. Iniziano a urlare slogan di protesta, di rabbia. I “ciellini” si barricano in aula. Uno di loro, frettolosamente parla con un prof., bisogna avvisare il rettore, non c'è tempo da perdere, è necessario richiedere l'intervento della polizia, è un'emergenza. Chiamate la polizia e un'ambulanza!
Un'ambulanza? E perché? In fondo non è ancora successo nulla. Certo sempre più “compagni” si stanno affollando, lungo il viale fuori dall'istituto, chiedono i nomi dei responsabili dell'aggressione, chiedono perché. Ma tutto quello che fanno è urlare. Siamo nel marzo del '77, i bolognesi sono abituati alle urla, agli slogan, alle proteste, alle manifestazioni, perché chiedere l'intervento dell'ambulanza?
Trascorre mezz'ora, di fronte alla Facoltà di Anatomia iniziano ad arrivare carabinieri e polizia con cellulari, jeep, camionette. Si schierano nel giardino, entrano nell'Istituto, inizia lo scontro.
Alcuni ragazzi scappano verso Porta Zamboni, altri corrono lungo Via Irnerio, ma è difficile capire cosa stia succedendo, non ci si può permettere di fermarsi a pensare. L'aria si fa satura del fumo dei lacrimogeni, le strade risuonano del rumore assordante degli spari, lo scoppio delle molotov. No, non c'è tempo di capire, la mente smette di funzionare e le gambe corrono.
Francesco ha 25 anni, studente in medicina, a pochi giorni dalla laurea. Francesco è un militante di Lotta continua, ma quella mattina non si trovava di fronte alla Facoltà di Anatomia. Francesco quando iniziano gli scontri in Via Irnerio sta ancora studiando. Scende in strada alle 12:30 insieme ad alcuni compagni e si dirige verso l'Università. In Via Mascarella incontra una colonna di carabinieri, Francesco sa che qualcosa sta succedendo, ma non sa bene cosa né perché, lui non c'era quando gli scontri sono iniziati.
I carabinieri caricano e Francesco corre insieme ai suoi compagni, la mente vuota e il cuore che batte. Un uomo con indosso la divisa delle forze dell'ordine, il volto riparato dalla visiera dell'elmetto, appoggia il braccio ad una macchina, in mano una pistola calibro 9, prende la mira e spara. Sette colpi ad altezza d'uomo, sette colpi a raffica. Francesco sente il rumore sordo dello sparo, si volta e poi continua a correre. Corre fino a quando le gambe non gli cedono, là sul selciato del portico di Via Mascarella.
Francesco Lo russo non arriverà mai in ospedale, non indosserà la corona d'alloro, simbolo agognato della sua laurea in medicina, non assisterà alla chiusura in diretta di Radio Alice, alle manifestazioni ai comizi che seguiranno in quei giorni di marzo. Non saprà mai nulla dei carri armati in Via Zamboni, delle barricate, della lotta fra le strade del centro, del sopraggiungere della primavera e dell'arresto di tanti suoi compagni. Per lui quel marzo del '77 finisce lì. Contro quel muro di Via Mascarella, mentre correva, correva lontano senza nemmeno sapere il perché; voltandosi indietro un'ultima volta al rumore sordo di uno sparo e poi più nulla, nessuna voce, nessun colore, solo il buio.