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Scritto da nel Numero 11 - 16 Febbraio 2007, Politica | 0 commenti

Il Governo spazza la propria area calciando sugli spalti ed io non sono d'accordo

Catania, Venerdì 2 febbraio è la sera precedente alla festa di Sant'Agata, patrono della città etnea. Proprio per questo motivo è anche la sera del derby di Serie A tra i rossoazzurri di casa ed i rosanero della città di Palermo. Le due squadre si rincontrano nel massimo campionato dopo decenni in cui il nostro calcio aveva vissuto solo fino al tacco della nostra penisola ed è meglio – o almeno così pare – che in tale giornata non si disputi un incontro allo stadio.

La partita era considerata ad alto rischio, ma nessuno ci aveva mai spiegato perché. Pare che il gioco del calcio nel Novecento sia diventato lo sport popolare: questo significa che il fenomeno è talmente apprezzato e diffuso che le folla che muove e le energie che suscita mostrano una fotografia ben rappresentativa della realtà umana nazionale. In tutti i campi: dalla tv, alla politica, alle masse popolari (eccole, già, ecco dov'erano finite), all'economia, al tempo libero. Alla delinquenza, che come si sa, è vietata ma esiste. E che si nasconde nelle pieghe e dietro gli angoli per saltare fuori quando meno te lo aspetti. Per cui è meglio aspettarsela, e considerare la partita ad alto rischio. Primo errore: alle 18 di venerdì d'inverno è già buio e gli ingorghi del traffico rendono meno efficiente il servizio necessario di garantire il miglior afflusso e deflusso dallo stadio.

Pare inoltre da informazioni riservate che non ci fosse vetrina migliore per dare fuoco a polveri che covavano sotto la cenere.

Il fatto che a seguito degli scontri e dei tumulti nella zona antistante lo stadio sia deceduto sul lavoro l'ispettore capo della Polizia Filippo Raciti addolora tutte le coscienza civili di questo Paese: proprio per quello che rappresenta il calcio nell'immaginario di tutti noi (sia che ci piaccia sia che no), vedere come la vigliaccheria di uno possa distruggere la vita umana e spezzare il filo che tiene unita la nostra società fa rabbrividire. Rimane orgogliosa e piena di dignità la testimonianza della Catania civile per voce della figlia e della moglie e di tutti quelle persone che spontaneamente hanno listato a lutto la festa del patrono.

Certo che vorremmo proprio capire bene come sia potuto accadere un evento talmente tragico, in presenza di un così imponente dispiegamento delle forze di sicurezza e di un alto fattore di rischio. Forse perché i tifosi ospiti stavano in piedi e accendevano i fumogeni, o forse perché entrati nello stadio all'inizio del secondo tempo per l'esplicazione delle formalità previste dal decreto Pisanu avevano innalzato cori di vittoria contro la città rivale. Erano venuti in pullman dopo aver acquistato i biglietti presso la propria società, avevano parcheggiato nelle strisce riservate dietro il settore. Forse il problema è che questi non sarebbero dovuti venire, o sarebbero dovuti passare tutti sotto al tornello con tanto di documento d'identità in mano.

Allora forse è meglio diffidarli preventivamente, non si sa mai che siano dei tipi sospetti. Con i quali applicare le garanzie costituzionali dei diritti civili a tutela della propria mobilità e del diritto di seguire dal vivo il calcio italiano, invece di rinchiudersi in casa davanti alla tv, potrebbe risultare gravemente impopolare. Meglio garantire la prescrizione per chi se la può permettere e lasciare che l'ingiustizia faccia il suo corso.

Rimane il dubbio che i tafferugli nell'altra curva sarebbero potuti scoppiare lo stesso. Forse quello che occorre non è recidere i legami tra i tifosi e le società, ma tutt'al più rafforzarli, creando luoghi aperti di scambio di biglietti ed agevolazioni per la gita della domenica, per parlarsi chiaramente in faccia e ridurre il rischio degli scontri durante la convivenza in curva. Si tratta proprio di convivere, già, tutte le domeniche di qui fino alla fine del calcio. Che con buona pace delle nostre signore sopravviverà ancora a lungo.

Forse preferiamo fare finta di niente per cascare dalle nuvole ogni volta che ci bruciamo con l'acqua calda: già apriamo il rubinetto e ci dimentichiamo che lasciando scorrere l'acqua calda senza mai aprire la fredda ci si scotta, prima o poi. Qualche terminazione nervosa pubblica si è già bruciata. Ciò che occorre non sono i carri armati ma un servizio di intelligence che con discrezione prenda per un orecchio chi ha lanciato quel masso, quella bomba, e lo consegni alla giustizia ordinaria. Con una denuncia per omicidio. Altro che diffide generalizzate e politica dello struzzo: la serietà e l'autorevolezza di uno Stato si misura per l'equità della pena e la certezza della giustizia.

La verità è che è concettualmente sbagliato pensare che occorra una legislazione speciale per il calcio. Forse che per colpire i reati non sia sufficiente quella normale? Allora è più preoccupante che non sia quella la prima a dover cambiare. Salvo che non si ritenga che ne esistano due di giustizie: una per i potenti ed una per la domenica.

Le scelte del Governo traggono le proprie ragioni da motivazioni e presupposti diversi da quelli fin qui esposti. Ciò succede perché quando si parla di calcio si sta in realtà parlando di altro ed il Governo come parte politica prende – quando sbaglia – la posizione nell'interesse delle sue diatribe e non dell'interesse nazionale che secondo gli articoli della Costituzione dovrebbe rappresentare.

Qui le persone non esistono. Qui si parla di decreti e soldi.

Sicurezza negli stadi si traduce in rispetto della normativa Pisanu, non perché essa sia particolarmente funzionante (tristemente, per l'appunto) ma proprio perché andrebbe applicata meglio. Avanti con la politica di Berlusconi, così ci ascoltiamo le sue esilaranti gags sui gay mentre in Parlamento ci appoggia mentre gli chiudiamo San Siro con le sue stesse mani. Salvo accorgersi che la libertà dei suoi abbonati di non chiedergli i danni per aver venduto biglietti per uno stadio non a norma vale di più della legge dello Stato. Matarrese non è così sofisticato: ci sono dei soldi in ballo il funerale è già stato pagato. The show must go on.

Prodi invece è ottimista, non si può accettare la sconfitta. Reagiremo. È su come reagiremo che abbiamo dei dubbi, ma soprattutto contro chi e che cosa reagiremo.

Nei luoghi delle città la sicurezza sarà un diritto di tutti e lo Stato sarà in grado di governare? Saprà colpire la delinquenza che distrugge il più grande gioco di società che sulla Terra abbia mai posto piede?

La paura di molti è che a forza di avvicinarsi al libero mercato, la sinistra riformista perda il senso di una radice ideologica che costringeva a rendere uguali poveri e ricchi, nei diritti e nei doveri. Senza distinzione di sesso, di razza, di religione, di credo politico. Anche di squadra di calcio e passione sportiva. Affinché riformismo non si traduca solo nel togliere due lire ai potenti, occorre che porti con sé una dimensione ideale che valga per tutti. Per tutti. Ogni giorno. Nello spirito della Repubblica sorta sulle briciole di un Paese che non sapeva dov'era e chi era, ma che con la forza dei propri sogni e del proprio lavoro ha costruito se stesso, anche e soprattutto nello sport nazionale i sogni non si possono vietare preventivamente. E' contro la lettera e lo spirito della Costituzione, calpestata come al solito dal salotto televisivo più chiassoso di turno. Personalmente mi addolora il fatto che un fine giurista come il professor Amato non abbia saputo insegnare meglio di chiunque altro questa sottile ma essenziale questione per realizzare al meglio il lavoro del proprio Ministero.

Non è possibile chiedere giustizia al lavoro degli agenti di sicurezza quando la deficienza è a carattere legislativo. Non è possibile chiedere ordine a chi è costretto a colpire – per rispettare le norme dello Stato – persone che crimini non ne hanno commessi. Ed è costretto a ritrovarsi l'indomani in giro per strada quelli che colpevoli lo sono davvero, ma che chissà perché la mattina dopo sono di nuovo in giro.

Fermare la violenza nei luoghi di aggregazione significa proteggere il calcio e non chiuderlo, né in uno stadio vuoto né dietro uno schermo. Significa essere certi che viviamo tutti nella stessa società e la proteggiamo ognuno per parte propria.

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