Fanno un deserto e lo chiamano degrado
Parlare di degrado a Bologna non è certo originale né meritorio. Il termine è omni- comprensivo e omni – offensivo, a seconda dell'oggetto di riferimento e del soggetto criticante. In genere, ci si riferisce alla diminuzione della qualità della vita nel centro storico – in particolare della Zona Universitaria -, il cui protrarsi ha generato una forte sensazione di malcontento tra residenti e cittadini in genere. Per il lettore estraneo alle cronache bolognesi, il focus della critica si è concentrato sulla popolazione studentesca che ogni giorno (e ogni notte) vive in quella ristretta area dominata dalla presenza degli edifici universitari, portando con sé tutti gli aspetti – positivi e negativi – della gioventù moderna e dei suoi vizi, talmente banali da non avere nemmeno il bisogno di essere enumerati.
La risposta delle amministrazioni comunali è stata – a partire dalla giunta di centro destra guidata dal Sindaco Guazzaloca, (1999 – 2004) – impiantata su un generale discorso di sicurezza, di ordine pubblico. Per la verità, l'argomento aveva allora da poco iniziato ad assumere le dimensioni attuali nella percezione della gente, e la prima risposta è spesso anche quella più istintiva e meno elaborata. E' anche vero però che la rappresentazione del problema costituisce spesso un orientamento alla soluzione del problema stesso: se si crede che ci sia un effettivo bisogno di più vigilanza da parte delle forze dell'ordine – tesi supportata ad alto volume dai media locali -, le azioni politiche andranno in quella direzione. Senza d'altronde concludere molto, perché le percezioni sono dure da sradicare. E perché evidentemente il problema stava molto più a monte.
Con l'elezione a Sindaco di Sergio Cofferati, pareva che l'imprinting delle iniziative amministrative potesse prendere un corso diverso. In virtù del carisma del personaggio e del consenso riscosso trasversalmente tra le generazioni; per lo stile consensuale inclusivo proposto in opposizione a quello esclusivo su base maggioritaria della giunta precedente; soprattutto, per la propensione da parte della nuova amministrazione ad uno studio più analitico del problema. Impressioni di un momento. Il centro-sinistra si è arenato tra veti trasversali, proteste generalizzate e provvedimenti frammentari. Solo sullo sfondo – con timidezza – si paventa ciò che realmente manca a questa città: una nuova progettualità urbana.
Bologna ha smesso di reinventare se stessa nel momento di maggiori trasformazioni sociali: la fuga dei bolognesi verso una “cintura metropolitana” più vivibile e con prezzi sostenibili, il forte movimento migratorio -di italiani come di stranieri – che ha interessato l'intera Regione e creato nuovi equilibri sociali e demografici, il mutamento del sistema produttivo e i suoi bisogni di spazio e conoscenze, la vertiginosa crescita edilizia cittadina…Davanti a tutto questo, Bologna ha mantenuto – e pretende di mantenere – una struttura urbana costante, imperniata sul centro storico, sull'uso dell'auto come principale (unico?) mezzo di trasporto, soffocata dall'anacronistico perimetro tracciato dalla tangenziale. Le coalizioni avverse al cambiamento hanno d'altra parte dato prova di solidità contro un sistema partitico ed amministrativo incapace di esercitare una vera attività di government, annegandola in un consociativismo di interessi immobilistici, che i politologi si ostinano a chiamare governance, in mancanza di meglio.
Il destino dei due progetti più significativi del necessario rinnovamento, la nuova stazione e il piano di chiusura del centro storico al traffico delle auto, è esemplare: entrambi sottoposti a lunghi silenzi e odi profondi, per ragioni diverse, nell'attesa di una infinita mediazione politica tra gruppi rappresentanti interessi inconciliabili. Il degrado del centro storico, se vogliamo chiamarlo così, è il prezzo che paghiamo per le non- decisioni passate, e per la stentatezza di quelle future. Di fronte alle prossime scelte cui saremo sottoposti, noi bolognesi faremmo bene a tenere conto di tali costi, mentre ci chiediamo – come sempre siamo capaci di fare – cosa ce ne viene in tasca individualmente dal non poter girare in centro in auto, o dal sopportare lavori continui.