Fucked up
Qualche anno fa nacque un sito internet chiamato Nowthatsfuckedup, che permetteva di scambiare filmati erotici amatoriali. Per scaricarne il materiale le possibilità erano due; o iscriversi e pagare qualche decina di dollari, oppure inviare il proprio materiale domestico, a cui sarebbe stato assegnato un certo “valore di scambio”. Al fondatore del sito, Christopher Wilson, nel 2004 venne in mente un’idea malsana per rendere più appetibile al proprio pubblico questo materiale in entrata: invitare soldati e soldatesse di stanza in Iraq e in Afghanistan ad avere accesso gratuito al portale, a condizione che inviassero immagini raffiguranti la loro quotidianità di combattenti. Le fotografie inoltrate erano state scattate con piccole macchine digitali a bassa definizione o con telefoni cellulari; una tecnologia dilettantesca e portatile che si scontrava con il manifesto abisso di infamia che caratterizzava il contenuto di quegli scatti. Oggi su Christopher Wilson pendono qualcosa come trecento capi d’accusa per un migliaio di foto pubblicate sul suo sito (poi chiuso), e non è difficile capirne la ragione: si trattava di immagini di cadaveri denudati per sfregio, di teste decapitate e fatte esplodere, di interi villaggi distrutti, di militari che sorridono di fronte ai corpi carbonizzati, di iracheni e afghani inquadrati nel mirino dei fucili un attimo prima di essere ammazzati come cani. Se dovete andare a vomitare, fate pure; purtroppo, si tratta soltanto di qualcuna delle pillole di civiltà che le vicende di guerra di questi anni ci hanno dispensato, a dispetto di tutti i discorsi sulla loro opportunità, validità, legittimità. A questa orribile vicenda, come prevedibile, i media Usa hanno dedicato uno spazio irrisorio. Alla lacuna sembra voler sopperire Fucked up, un’antologia “senza censure né filtri” ricca di documentazione fotografica, curata da Gianluigi Ricuperati, collaboratore di Repubblica e de il manifesto. Nell’introduzione si racconta la storia delle foto, l’intervento del Pentagono, fino all’arresto di Wilson; l’interessante postfazione dello scrittore Marco Belpoliti invece colloca il contenuto fotografico di Fucked up negli attuali scenari del fotogiornalismo di guerra. Così si legge nella presentazione del volume: “Le torture dal carcere iracheno di Abu Ghraib pubblicate sulle prime pagine dei giornali e diffuse dalla televisione, ci hanno offerto la visione intestinale, feroce e assurda della guerra. [...] In Fucked up la storia si ripete: lo stesso orrore, la stessa follia [...]”. Queste le parole di Susan Sontag scelte dall’editore Rizzoli in occasione dell’uscita del volume: “Viviamo sotto la minaccia continua di due prospettive spaventose: la banalità interrotta e un terrore inconcepibile”. Più che mai.
(a cura di Gianluigi Ricuperati – BUR – 2006 – pagg. 148)