Quale destino per l'uranio made in Italy?
Il 24 ottobre la regione Lombardia ha bocciato la richiesta di poter esaminare un giacimento di uranio nei pressi di Novazza, in provincia di Bergamo, allo scopo di predisporre un piano per l'estrazione di circa 870000 tonnellate di materiale.
Tale richiesta proveniva dalla Metex resources Ltd, una società mineraria australiana già impegnata nell'estrazione di uranio in diversi Paesi.
Da una simile quantità di materiale estratto si sarebbero ricavate circa 1300 tonnellate di ossido di uranio (uranio 238, che non è fissile ed è scarsamente radioattivo), che in termini economici produrrebbero un guadagno appena inferiore ai 150 milioni di euro.
La mobilitazione dei vari “partiti del no” italiani è stata, in seguito alla richiesta, praticamente immediata, ma diverse sono state anche le voci favorevoli: ancora una volta si è assistito ad una spaccatura netta tra i favorevoli e i contrari, che è un po' la caratteristica del dibattito sul nucleare, e non solo, in Italia.
Stabilire chi abbia ragione e chi torto è tutt'altro che semplice, e anzi forse impossibile, poiché ciascuna fazione sa addurre (non sempre) motivazioni convincenti e sensate.
Naturalmente un sito dal quale si estragga uranio comporta un certo impatto ambientale (inquinamento visivo, acustico, modificazioni del paesaggio ecc.), la produzione di radon in quantità superiori alla norma e la possibilità, remota ma non trascurabile, di contaminazioni degli alimenti, del territorio o dell'aria circostanti.
C'è da precisare che si tratterebbe in maggior misura di contaminazioni chimiche. A parte la radioattività del radon, che viene prodotto durante la fase di estrazione dell'uranio e che, se inalato, può aumentare il rischio di tumori al polmone, per il resto l'uranio estratto non presenta valori di emissioni radioattive preoccupanti (si può maneggiare persino con le mani).
Rischio peraltro circoscritto per la maggior parte ai minatori, più che alla popolazione, ed evitabile o riducibile grazie all'uso di adeguati impianti di ventilazione. Chi lavori all'estrazione dell'uranio è sottoposto a rischi di gran lunga, ad esempio, inferiori a quelli cui sono soggetti i minatori che estraggano carbone (si pensi che soltanto in Cina muoiono più di 5000 minatori di carbone all'anno).
Secondo alcuni pareri (dei quali si è fatta portavoce, tra gli altri, Legambiente), la notevole dispersione spaziale del materiale da estrarre, dovuta alla particolare conformazione delle rocce in quella zona, renderebbe anche scarsamente conveniente l'estrazione a livello economico, interessando una zona molto ampia e necessitando di continui spostamenti delle zone operative alla ricerca di filoni piccoli e delocalizzati. Il prezzo dell'uranio, tuttavia, dopo un lungo periodo di relativa stabilità, sembra nell'ultimo periodo aver iniziato una ascesa piuttosto decisa, il che ovviamente favorisce l'intensificarsi degli interessi che orbitano attorno al prezioso combustibile.
C'è tuttavia dell'altro. Come noto, l'Italia non possiede centrali nucleari, e una parte dell'energia acquistata dal nostro Paese proviene dalle vicine centrali nucleari francesi; la Francia, a sua volta, acquista il combustibile per le sue centrali da diverse società straniere. Società localizzate in maggior misura proprio in Australia e in Canada…
In caso di risposta affermativa della Regione, dunque, avremmo assistito ad un bizzarro processo per il quale l'Australia avrebbe estratto uranio in Italia da rivendere, magari, alla Francia, la quale lo avrebbe utilizzato per produrre energia destinata al mercato energetico italiano. Una specie di cane che si morde la coda.
In virtù di questo ragionamento, molti tra coloro che si definiscono favorevoli, in linea di principio, allo sfruttamento dell'energia nucleare e quindi all'estrazione dell'uranio, si sono però mostrati contrari alla concessione ad una società straniera di una tale opportunità.
Costoro, semmai, auspicano una ripresa delle attività nucleari da parte dell'Italia, e ritengono controproducente un appalto a ditte straniere dello sfruttamento delle (scarse) risorse italiane.
Per contro, la ripresa delle attività produttive legate all'energia nucleare in Italia non sembra una decisione vicina, dunque è concreta la possibilità che i giacimenti di uranio rimangano, così come le risorse in termini di tecnici e ricercatori esperti nel settore presenti sul territorio nazionale, inutilizzati ancora per molto tempo.