Telecomunicazioni e concorrenza – parte prima
Le telecomunicazioni sono un settore che richiede investimenti fissi ed irreversibili (sunk costs). Si tratta di una caratteristica che tale settore condivide con tutte le “economie di servizi su rete” o “servizi infrastrutturali”. Come il trasporto su rotaia e il trasporto di energia e acqua infatti nelle telecomunicazioni, il costo principale necessario a garantire il funzionamento del settore é rappresentato dalla costruzione della rete. Data la portata di tale investimento storicamente tali settori sono stati oggetto di interventi statali : da qui la nozione di public utilities in riferimento alle ferrovie, agli acquedotti, agli elettrodotti, alle reti di diffusione di frequenze radiofoniche prima e televisive poi[1], e alle reti di telecomunicazione fissa prima e mobile poi.
Negli ultimi 20 anni il mercato delle telecomunicazioni è stato oggetto[2] (ed è tuttora oggetto in molti paesi) di una metamorfosi principalmente imputabile a due fattori : da un lato il progresso tecnologico e dall'altro dei cambiamenti intervenuti nella domanda soprattutto in termini di dimensione[3]. Tali mutamenti hanno inciso sulle condizioni di costo (sia fisso che variabile) e di conseguenza sulla contendibilità[4] del mercato stesso, creando spazio per l'ingresso di nuovi operatori.
Nelle economie di servizi su rete la liberalizzazione del mercato implica come diretta conseguenza l'accesso alla rete da parte di nuovi operatori[5]. Nel mercato della telefonia fissa tale processo è conosciuto come local loop unbundling. Attraverso l' unbundling, o accesso disaggregato, i nuovi operatori entrati sul mercato in seguito alla liberalizzazione possono usufruire delle infrastrutture dell'incumbent[6] in cambio del versamento di un canone “di affitto” e cominciare così ad offrire servizi propri direttamente in concorrenza con i servizi proposti dall'incumbent. Tecnicamente con l'unbundling una porzione dei cavi presenti all'interno delle centrali telefoniche dell'incumbent viene distaccata per essere collegata alle nuove centrali dell'operatore alternativo.
In un'ottica regolamentare, cioè un'ottica che mira ad un'allocazione efficiente delle risorse ed un'equa attribuzione dei costi, l'apertura della rete ad un nuovo operatore fa emergere il problema dell'attribuzione degli oneri relativi alla rete stessa tra i due operatori che ne fanno uso. La regolamentazione delle telecomunicazioni distingue quattro tipologie di costi:
1. Costi generali della rete
Si tratta di costi direttamente imputabili alla costruzione e alla manutenzione della rete.
2. Costi d'interconnessione
Si tratta dei costi ingenerati dal collegamento tra le reti finali dei due operatori in corrispondenza del famoso “ultimo miglio”. Il costo di interconnessione costituisce in pratica il costo di far transitare il traffico telefonico dell'operatore alternativo proveniente dalla rete dell'incumbent, sull'ultimo miglio di rete disaggregata in mano all'operatore alternativo.
3. Costi relativi ad altri servizi
Si tratta di costi non direttamente imputabili ne' alla rete ne' all'interconnessione.
4. Costi comuni
Si tratta di costi non attribuibili a nessun servizio specifico e in quanto tali considerati comuni agli operatori che utilizzano la rete.
Il passaggio da una fase di monopolio naturale ad una fase concorrenziale risulta attuabile solo se l'insieme dei costi sostenuti dai nuovi operatori non è sproporzionato rispetto ai costi sostenuti dall'incumbent, se esiste cioé uno “spazio economico” tale da consentire ai nuovi entranti di svolgere la propria attività in maniera profittevole.
Per far sì che ciò avvenga, le Autorità di Regolamentazione delle telecomunicazioni impongono, o meglio, cercano di imporre all' incumbent, il rispetto di una serie di obblighi. Tali vincoli cercano di fare in modo che l'incumbent fissi dei mark-up “accettabili” relativamente alla sue offerte di unbundling e di interconnessione.
L'origine di tali obblighi risale al 1998, anno in cui una direttiva europea[7] ha introdotto i criteri di “non discriminazione, trasparenza e orientamento ai costo” sull' interconnessione. Con questa direttiva si introduceva un concetto fondamentale nella regolamentazione delle telecomunicazioni: l'orientamento al costo delle tariffe. Secondo tale criterio, il mark-up sui costi di interconnessione fissato dall'incumbent sarebbe stato oggetto di controllo da parte delle Autorità di Regolamentazione al fine di verificarne l'eventuale sproporzione rispetto ai costi. Per l'incumbent venivano inoltre introdotti i seguenti obblighi:
- non discriminare fra gli operatori alternativi che richiedessero di usufruire dell'accesso disaggregato (non discriminazione),
- disaggregare l'offerta di interconnessione da altri servizi in modo da evitare che l'operatore alternativo dovesse sostenere costi non direttamente imputabili all'interconnessione (disaggregazione dell'offerta)
- pubblicare annualmente le proprie tariffe all'interno di un' Offerta di Interconnessione di Riferimento (trasparenza).
Successivamente alla pubblicazione dell'Offerta di Interconnessione le Autorità avrebbero potuto chiedere all'operatore di apportare delle modifiche alle sue tariffe nel caso avessero riscontrato una sproporzione ingiustificata tra le tariffe e i costi dell'operatore.
“Non discriminazione, trasparenza e orientamento ai costo” dunque. Detta cosi' sembra si tratti di un appello al buonsenso (un cosa del tipo : “fai la stessa cresta a tutti senza distinzione, ma non esagerare”) indirizzato all'incumbent, piuttosto che di un insieme di criteri chiari rispondenti a esigenze concorrenziali precise. Pensare che le telecomunicazioni siano state liberalizzate seguendo il criterio della “cresta trasparente e indiscriminata” può comprensibilmente turbare in effetti. Purtroppo in realtà questa formuletta é la cosa più rassicurante che la regolamentazione sia riuscita a partorire per nascondere un insieme di criteri ben più vaghi, ingarbugliati, incerti e arbitrari.
Il problema principale infatti è uno ed uno solo: come risalire al reale ammontare dei costi sostenuti dall'incumbent?
…continua…
[1] La caratterizzazione dello spettro terrestre come public utility deriva storicamente da esigenze militari.
[2] Il processo di liberalizzazione delle telecomunicazioni è iniziato negli Stati Uniti nel 1984, anno in cui l'operatore telefonico nazionale ATT venne smembrato in sette imprese con il compito di gestire la rete locale. Come spesso avviene in ambito di regulation, l'Europa ha ben presto seguito l'esempio degli USA e dato inizio all'era delle liberalizzazioni tramite la Direttiva 90/387/CE anche conosciuta come “Open Network Provision”.
[3] Nel caso delle telecomunicazioni il fenomeno di crescita della domanda é esponenziale, essendo favorito da un'effetto di rete tale per cui l'utilità di ogni individuo collegato alla rete aumenta all'aumentare del numero di persone ad essa collegate.
[4] In altre parole lo “spazio concorrenziale a disposizione di eventuali operatori alternativi”. “Un mercato é detto contendibile se esiste piena libertà di entrata da parte di operatori alternativi”.
[5] Anche nel caso (molto raro) di un operatore alternativo in grado di costruire una nuova rete ex novo, la regolamentazione è da sempre orientata verso la mutualizzazione della rete esistente. Tale soluzione è riconoscita come la soluzione più efficiente, contrariamente alla duplicazione delle reti, ritenuta una soluzione subottimale.
[6] Si tratta dell'operatore storico, dell'ex monopolista.
[7] Si tratta della Direttiva 98/6/CE sull'”interconnessione alle reti di operatori con significativo potere di mercato”.