Partito Democratico : mito e realtà
Il Partito Democratico è una necessità storica e politica, non una professione di fede. Così come l'opera d'arte non si risolve nel solo oggetto scultura, dipinto, composizione o testo ma si dispiega pienamente nell'emozione, nel moto d'animo, nelle riflessioni che è in grado di suscitare sul suo fruitore, non basta la mera esistenza di una nuova formazione partitica per segnare il progresso della Sinistra nel sistema politico italiano ma saranno le nuove idee, i miti, la coscienza unificante che essa porterà con sé a produrre vero rinnovamento, politico e sociale. Non si tratta perciò di trattare la nascita del PD come la fusione di due aziende che si spartiscono capitale e posti in un consiglio di amministrazione unificato. Un'operazione politica di tale portata è qualcosa di ben più profondo e complesso, coinvolge il superamento ideale di due forti identità storicamente radicate, quella cattolica sociale e quella social- democratica progressista, portate da lontane dinamiche storiche a vivere esistenze separate all'interno di due blocchi sociali appositamente distinti da muri politici, ieri fatti di filo spinato ed oggi, potenzialmente, di cartapesta.
Fuori di metafora. La necessità storica è quella di portare a termine una lacerante fase temporale che ha diviso la società, prima ancora che la politica italiana. Essere cattolici era diventato una connotazione politica oltre che spirituale. Essere comunisti una posizione spirituale, oltre che politica. Riconoscere definitivamente la caduta dei presupposti ideologici di una tale deformazione passa attraverso l'unificazione di questi segmenti sociali. Passa attraverso l'elaborazione politica di risposte ai mali del nostro tempo, incomprensibili se letti attraverso le lenti di ieri. Di qui la duplice necessità politica: rinnovare l'apparato ideologico del progressismo in Italia, razionalizzare il sistema politico per renderlo adatto al XXI secolo. Partito Democratico sono innanzitutto le idee, le filosofie di un mondo globalizzato, drammaticamente complesso. Nel nostro Paese è un clima più sereno, meno centrifugo o tragicamente conflittuale. Sono le riforme di cui hanno tragicamente bisogno le nostre stanche strutture sociali ed economiche. Queste sfide necessitano di idee comuni nello spettro riformista italiano, non di una competizione basata sulle rivalità e sui miti prese in prestito da altre generazioni. Tra le eredità inutili di un passato tanto travagliato c'è un instabile bipolarismo che nel suo assetto attuale ha un nome ed un cognome: Silvio Berlusconi. Senza il Cavaliere ritorna quella situazione fluida di alleanze variabili, strategie trasformistiche e giochi di guerra parlamentare che già conosciamo. Per assicurare una vera transizione, c'è bisogno di razionalizzazione le forze e le divisioni. Il PD andrebbe in questa direzione.
Ma il PD non è una professione di fede. Non si fa un partito solo perché “bisogna farlo”. Si è parlato in questa rivista di effetto lock in: esiste anche in politica. Se questa nuova formazione dovesse fallire poco tempo dopo essere nata per manifesta superficialità travolgerebbe con sé ogni residuo di credibilità del progetto per il futuro. L'azione politica di oggi condiziona pesantemente i margini di movimento del domani. Path- dependency è il concetto in chiave politologica. La pochezza del dibattito attuale è preoccupante per tre ragioni. In primo luogo perché non promuove alcuna discussione di tipo valoriale né programmatico, di conseguenza non produce nessuna identificazione comune, nessun tessuto sociale unificato e cosciente di sé su cui poggiare saldamente le basi di un progetto nuovo. Secondo perché al contrario sembra più che si operi una sorta di “fusione a freddo”, come la definisce Paolo Prodi, in cui ognuna delle parti in causa rispolvera l'orgoglio di appartenenza alla sua storica identità, sostenendone la supremazia. Nel momento di questa orgogliosa levata di scudi pare che ci si prepari piuttosto allo “scontro di civiltà”, o ad un Anschluss da parte del soggetto più forte e numeroso (i DS?): certo non alla gestazione di un partito su base paritaria. Terzo ma fondamentale punto per la nostra generazione: il processo di costituzione forma un modello a cascata, dall'alto verso il basso. Dell'inverso neanche l'ombra. I giovani, quelli che più non risentono delle vecchie divisioni tra élite ed identità che non hanno vissuto, quelli che al contrario in un PD ci opereranno, sono d'accordo? Accettano il PD per disciplina di partito, se già ce l'hanno? O hanno intenzione di mobilitarsi solo in nome di antiche icone barbute ed inutilmente afasiche nella generale disperata ricerca di senso della società del nostro tempo? Non si può perdere la parola, nel momento in cui c'è realmente la possibilità di fare la politica.