Guerra preventiva : il diritto a passo di gambero
Sarà il caldo, saranno stati i bagordi della sbornia mondiale, sarà forse la partenza imminente per il rituale collettivo tipicamente italiano delle ferie d'agosto, fatto sta che forse abbiamo dimenticato il paio di guerre in cui l'Italia è attivamente impegnata su due dei fronti più caldi dello scacchiere internazionale. E' inutile nascondersi dietro a improbabili inglesismi, utilizzando una terminologia melliflua come uno zuccherino, sull'ipocrita scia delle operazioni di “peace-keeping”: di fatto quando è violata la sovranità di una nazione, quando un congruo numero di vittime inermi[1] appartiene alla popolazione civile e non direttamente belligerante, e ancora quando un uso massiccio di bombardieri e carri armati spiana l'entrata trionfalmente mediatica della “fanteria”, la definizione etimologica di guerra resta la più appropriata al concetto espresso.
Non faccio parte del partito buonista e omnicomprensivo dei “senza se e senza ma”, e anche se con un certo sforzo, posso arrivare ad attribuire ad alcuni conflitti una certa utilità sociale o comunque poetico-mitologica[2], tuttavia gli scontri odierni, anche volendoli considerare sotto la prospettiva cinica e disincantata della cruda realpolitik[3], mostrano comunque una codardia[4] ed un'inutilità rispetto alle motivazioni ufficialmente dichiarate, che francamente trovo disarmanti.
Ma abbandoniamo per un attimo la calda e inquietante materialità del sangue per soffermarci in modo asettico sulla grave agonia del diritto internazionale; giova in questo esercizio teorico fare un passo indietro per ritornare a quel 11 settembre del 2001 che purtroppo, tutti, abbiamo indelebilmente impresso nella memoria. Pur non essendo l'attentato immediatamente identificabile come il punto di partenza, ha finito per assumere a posteriori, il problematico significato di uno spartiacque storico, così come la Presa della Bastiglia o la Battaglia di Stalingrado. La legittimazione dell'utilizzo mediatico-demagogico legata a quell' evento sanguinoso, ha innescato una funzione accelerante nel processo in cui il fanatismo occidentale si è felicemente unito a spropositati interessi economici e militari, sancendo in modo neppure troppo velato, come ai trattati internazionali potessero essere concessi particolari ed inquietanti distinguo.
La tesi del giornalista francese Thierry Meyssan si muove per l'appunto in questa direzione e possiede innegabilmente alcuni incontestabili punti di forza: l'undici settembre le nostre intelligenze si spensero momentaneamente dinnanzi ad una tragedia smisurata e fino ad allora inimmaginabile, per altro, riproposta dalle televisioni con macabra ossessività. Lo spirito critico dei più impressionabili si affievolì, probabilmente manipolato da consumati “artisti” della comunicazione, consentendo alle componenti più irrazionali celate nell'animo umano di raggiungere la superficie per prendere il sopravvento e invocare a-storicamente la legge del taglione.
Ne “L'incredibile menzogna”[5] Meyssan si spinge oltre, raccogliendo pazientemente gli indizi ( tutti verificabili attraverso fonti del Pentagono e del Dipartimento della Difesa) e le testimonianze finalizzate a sostenere la tesi del complotto interno; queste prove vengono forse ricercate con troppa veemenza a scapito dell'equilibrio generale e dell'obiettività della ricostruzione avvalorata dall'autore, tuttavia è innegabile che lo scritto in questione getti ombre inquietanti sui veri mandanti dell'attentato più spettacolare che la storia ricordi.
Un secondo esito propulsivo determinato dagli attentati, anch'esso sottolineato dal caustico giornalista francese, rimanda al rinnovato favore concesso dalla scioccata opinione pubblica statunitense nei confronti di quella politica estera egemonica e fortemente aggressiva, che ha trovato nella prevenzione armata la propria naturale estrinsecazione.
In questo processo la vecchia e democratica Europa è restata alla finestra, giustificando dove non veniva palesemente appoggiato, un revanscismo miope e manicheo che autoidentificandosi in modo vagamente farneticante con la Divina Provvidenza, attribuiva con fervore messianico giudizi valoriali al nemico, ora aprioristicamente identificato con l' “asse del male”.
Anche senza volersi addentrare nei meandri fantapolitici delineati da Meyssan, condivisibili o meno, appare chiaro come la politica estera che seguì l'11 settembre e di cui purtroppo siamo tutti testimoni, contenesse in germe la possibilità del peggiore aborto politico-legislativo dai tempi del nazismo, la teorizzazione della Guerra Preventiva.
Nella contemporaneità, il diritto, una tra le più sublimi creazioni umane, capace di incanalare ed intrappolare la forza bruta in un cosmo ordinato da leggi, sta purtroppo cambiando i propri orizzonti applicativi procedendo ironicamente a passo di gambero: il principio legislativo finalizzato ad impedire l'uso della forza da parte del singolo o di una comunità di singoli (le implicazioni sociali sono sostanzialmente le medesime), ha impiegato secoli prima di poter divenire un principio condiviso, cristallizzato in legge, forse la base stessa su cui può ergersi l'edificio statuale e insieme la convivenza tra i diversi stati. Oggi il “bellum omnia contra omnes” paventato da Hobbes e condiviso con alcuni distinguo da giusnaturalisti del calibro di Locke, Spinoza, Russeau o Grozio può tornare ad essere una minaccia reale laddove si confonda colpevolmente, per ignoranza o pregiudizio, la forza del diritto col diritto della forza; lasciando come unica mansione a tribunali impotenti, il compito ingrato di applicare ai vinti la condanna emessa dai vincitori[6].
Come in un perverso gioco prospettico di rovesciamenti ed eterni ritorni, quel diritto che in Mesopotamia fece la sua timida comparsa già nel 2400 a.C col codice di Entemena o con quello monumentale di Hammurabi scolpito su un'enorme stele di diorite[7], nelle stesse lontane contrade sembra giocare oggi una partita fondamentale per la sua sopravvivenza; almeno nell'accezione classica con cui abbiamo imparato ad amarlo.
[1] Secondo le stime, più che attendibili, fornite dal progetto Iraq Body Count, ad oggi, il numero delle vittime dirette(senza contare l'embargo, l'Afghanistan e la prima Guerra del Golfo) si muove in una forbice compresa tra le 39.460 e 43.927 unità; questo, non considerando i rapporti ONU, per i quali il conflitto causerà circa 2 milioni di rifugiati
[2] Si considerino a questo proposito la stragrande maggioranza delle guerre di liberazione dall'antichità ad oggi, e l'epica ad esse immediatamente riconducibile; come ad esempio i pastori iloti che si ribellano con successo agli indomabili guerrieri spartani, o le memorabili vicende del Risorgimento italiano.
[3] (politica realistica). Si tratta di una Politica estera incentrata sul concetto di potenza che, prescindendo dalle ideologie, è finalizzata a conseguire gli interessi concreti di uno stato mediante l'uso della forza militare ed economica. Il termine deriva dalla politica perseguita da Bismarck dopo il 1862 per imporre l'egemonia prussiana all'interno della Confederazione germanica.
[4] A chiunque sia interessato alla codardia strettamente connessa alle guerre contemporanee, direttamente riconducibile all'antieroismo tecnologico, consiglio gli ottimi scritti di M.Fini.
[5] Thierry Meyssan, L'incredibile Menzogna, Fandango libri.
[6] Correva l'anno 1947 quando Benedetto Croce tenne un discorso al parlamento italiano sull'istituzione del Processo di Norimberga sostenendo, tra l'altro, che “Un tribunale costituito dai vincitori e non basato su norme preesistenti può solo definirsi strumento di vendetta e non di giustizia”
[7] Per chi fosse interessato, oggi la stele è conservata al museo del Louvre a Parigi.
Per un resoconto più completo, documentato e aggiornato rispetto a quello, ormai invecchiato, di Meyssan, occorre dare un'occhiata a “La fabbrica del terrore”, del newyorkese Webster Griffin Tarpley.